Dopo che il dibattito sulla legge elettorale è approdato finalmente alla conclusione che bisognerà prima o poi imporre uno sbarramento (esplicito o implicito che sia), perché non si può continuare ad avere un sistema come quello descritto dal Porcellum, che ha permesso a partiti che avevano ottenuto percentuali ridicole intorno l'1,5% dei voti di entrare in Parlamento,
dopo che Veltroni ha perso una buona occasione di stare zitto, nell'interesse della maggioranza, e quindi del Governo, dicendo che «Il PD correrà da solo alle prossime elezioni, quale che sia la legge elettorale» (che -per carità- è una cosa condivisibile, ma è stata detta nel modo sbagliato e nel momento sbagliato),
dopo che una bufera ha travolto non solo la famiglia del ministro della Giustizia, ma anche tutto il suo partito (che, fa notare Marco Travaglio sul blog di Beppe Grillo, è la stessa cosa),
Mastella, che è stato ministro della Giustizia, prima che le inchieste della magistratura falcidiassero il suo partito, mettendolo in una posizione oggettivamente insostenibile, che è leader di un partito che si è garantito la sopravvivenza in Parlamento grazie all'assurda pratica di costruire coalzioni di governo prima del voto, partito che oltre tutto è entrato in Parlamento grazie al Porcellum, proprio con l'1,5% circa dei voti si sfila da questa maggioranza e passa all'opposizione, mettendo Prodi in una posizione tutt'altro che piacevole.
A questo punto, una domanda sorge spontanea: «Ma cosa v'aspettavate?»
Questa situazione è semplicemente diretta conseguenza del dibattito degli ultimi mesi, al punto che sembra veramente cercata col lanternino: Mastella, con la minaccia per sé e il proprio partito di non poter entrare nella prossima legislatura, con la paura di non essere più necessario per gli equilibri della maggioranza (quale che essa sia), col fiato delle Procure sul collo (che, per inciso, è il colmo, per il ministro della Giustizia), cos'altro avrebbe mai potuto fare, se non questo, secondo voi?
Quello che non capisco è Prodi, che si dichiara ottimista, e che al massimo accetta di chiudere la propria esperienza di Governo a Palazzo Madama, perché è dal Parlamento che sono decise le sorti del Governo, e non «dalle agenzie di stampa né dai dibattiti televisivi».
Cioè, il ragionamento diu per sé è impeccabile, ma ha un difetto di logica di fondo.
È vero che non c'è ancora giuridicamente una crisi, perché il Presidente del Consiglio non si è dimesso, e perché il Parlamento non gli ha fatto mancare la fiducia con un voto. Ma la situazione è ormai irrimediabilmente compromessa, e i numeri parlano chiaro: se alla Camera, per via dell'orribile stortura del premio di maggioranza, non dovrebbero oggi pomeriggio esserci problemi, al Senato i numeri semplicemente non ci sono: nel migliore dei casi (un caso molto teorico, prossimo al miracoloso), ci si potrebbe attestare al massimo su un 160 a 160, insufficiente per confermare la fiducia a Prodi, e tutto a causa non delle agenzie di stampa e nemmeno dei dibattiti televisivi, ma di un Partito che in Parlamento c'è già. Se la crisi parlamentare giuridicamente ancora non c'è, è solo questione di tempo, e a questo punto sarebbe forse più consigliabile per il Presidente del Consiglio rassegnare le dimissioni e aprire personalmente la crisi, senza aspettare un voto contrario in Parlamento.
E l'inevitabile disperata caccia al voto, cercando compromessi ancora più al ribasso.