lunedì 9 febbraio 2009

Fino a che punto?

Mentre il tempo passa e continuo a non trovare il tempo per scrivere sul blog, ma gli orari sono un po' cambiati da quando ho ricominciato con l'università e perciò è normale.
D'altra parte questa sera si è conclusa una vicenda che da tanti anni andava avanti e che oggi, a Udine, ha trovato il suo epilogo.
Purtroppo, anche se oggi si può dire chiusa la storia della sofferenza di una persona (e non mi sembra il caso di riportare la storia di nuovo per filo e per segno qui sul blog), resta di questi ultimi giorni un altro interrogativo, seppure quasi ignorato.

Il problema può sembrare tecnico, ma in realtà non lo è per nulla, perché riguarda uno dei principi ai quali facciamo di continuo riferimento.
Nel 1999 si è aperto un procedimento legale: si chiedeva ad un Tribunale di riconoscere ad una cittadina la possibilità di esercitare il diritto a non subire trattamenti medici contro la propria volontà, da tempo riconosciuto in Italia.
Dopo un lunghissimo iter giudiziario, con due decisioni della Corte di Cassazione, nel luglio del 2008 una Corte d'Appello riconosce che in questo caso esiste questo diritto, che deve poter essere esercitato.
Il caso è chiuso: si tratta una sentenza di un Tribunale italiano e come tale deve essere eseguita.

Il 6 febbraio del 2009, letteralmente all'ultimo momento il Consiglio dei Ministri scrive in fretta e furia un decreto che impedisca l'esecuzione di questa sentenza.
L'atto è di una gravità enorme: si stabilisce che una sentenza di un Tribunale italiano può essere cambiata a discrezione del Governo, buttando dalla finestra il principio della separazione dei poteri, uno dei cardini della democrazia.

Il potere di scrivere le leggi, quello di farle applicare e quello di amministrare la giustizia sono poteri che nelle democrazie occidentali sono nettamente separati, e così devono rimanere. Chiunque si celi dietro le false crociate per la difesa alla vita ignora (più o meno in buona fede) di che cosa si sia parlato, cosa si sia fatto in questi dieci anni di un calvario processuale che ha coinvolto tutti e tre i gradi di giudizio del nostro ordinamento, la Corte Costituzionale e perfino la Corte Europea dei Diritti dell'uomo. Si chiedeva se un cittadino italiano possa o meno rifiutare un trattamento medico che gli viene somministrato anche se a presentare la richiesta non può essere il paziente in prima persona, ma un suo congiunto, e anche se dalle cure somministrate dipende la sopravvivenza del paziente stesso. La corte ha risposto di sì, poste determinate condizioni. Non si è approvata una legge che autorizza l'eutanasia, non sono state date istruzioni agli ospedali da parte di un ministro: è stata emessa una sentenza, e gli altri due poteri dello stato non possono fare nulla per cambiarla.

Sfortunatamente, per il nostro Governo questo pare intollerabile e, convinto improvvisamente di "dover fare qualsiasi cosa per salvare una vita umana" (lamentandosi però prima di tutto del fatto che sia stata "resa impossibile l'azione del governo", alla fine di questa storia, tanto per rendere più evidente il vero interesse in gioco in questa vicenda), è arrivato a varare un decreto con lo scopo esplicito di impedire l'esecuzione di una sentenza, e con questo ha cercato di sconfinare in poteri che in un sistema che vuole dirsi democratico non gli spettano.
Di questi giorni rimarrà questo dubbio non nuovo, ma che si ripropone oggi in una luce molto inquietante: un Governo capace di pensare di aggredire gli altri poteri dello Stato allo scopo di riudurre al suo volere perfino un singolo procedimento giudiziario e capace di mascherare tutto come una crociata della "cultura della vita" davante a quale dei principi che sono posti a fondamento della nostra democrazia accetterà di fermarsi, se mai accetterà di fermarsi?

Link:
Zagrebelsky, G.: "Il veleno nichilista che anima il regime" - Repubblica online
Rodotà, S: "Lo tsunami costituzionale" - Repubblica online